From Aleppo for Pubblico

November 29, 2012

“I cecchini di Assad sparano due volte per non sbagliare”
from Aleppo, Syria.
Fabio Bucciarelli per Pubblico

Dopo tre mesi di combattimenti anche Aleppo ha trovato la sua routine. Una quotidianeità costruita sotto le bombe dove la vita zizzaga fra la sottile speranza ed il reale rischio. Ogni strada è possibilmente pericolosa, mortai e colpi di artiglieria cadono in modalità random su tutti i quartieri, come se vivere o morire dipendesse solo dal fato. Da Shaar a Karmal Jabl, dove i ribelli mantengono le posizioni coquistate al caro prezzo del sangue dei martiri della rivoluzione, l’aria ha un sapore denso e si respira paura ed incertezza. L’esercito del Presidente Assad, nonostante la tregua annunciata per la festa del sacrificio dell’Eid al-Adha, continua la sua politica di terrore tenendo la popolazione civile sotto scacco. L’esistenza continua in quella sottile linea di incertezza fra il possibilie bombardamento e la relativa calma. Uno spiazzo ed una moschea distrutta – rovinata qualche giorno fa sotto i nostri occhi da uno zampillare di schegge – una strada e due grandi case abbatture dalle pesanti bombe dei MIG scandiscono il passare del tempo. Un boato, le colate di granito ed un secondo rombo spezzano l’aria nel quartiere centrale dell’ospedale. E’ risaputo che ad Aleppo i colpi di mortaio arrivano sempre in coppia, come se l’esercito di Assad prendesse la mira per non mancare due volte il suo bersaglio. Il buio fra le due esplosioni diventa un tempo infinito. Dopo il primo colpo alcuni si buttano a terra per riparasi, altri corrono all’impazzata alla ricerca di un tetto nell’attesa del rombo decisivo. Quando il secondo mortaio fa tremare la terra, passano pochi minuti e la vita torna a scorrere come nulla fosse successo. E così ad Aleppo passano le ore ed i giorni più o meno lunghi, più o meno uguali gli uni agli altri.

Oltre al pericolo proveniente dal cielo, il regime consolida la sua politica di terrore spargendo sul campo di battaglia un ingente numero di cecchini. I fucili di precisione appostati sugli scheletri delle case abbandonate a chilometri di distanza immobilizzano la città: nei quartieri più a rischio la gente attraversa le strade di corsa, fermandosi e poi ripartendo per non dare punti di riferimento ai tiratori scelti. Dicono che molti siano iraniani, ma non abbiamo notizie a sufficienza per confermalo.

A Suleiman Halabi, la katiba Al Jazira compie spesso le sue offensive. I guerriglieri si muovono in gruppo di sei alla volta dandosi il cambio dopo sei/otto ore, come se dovessero timbrare il cartellino. Il loro compito è quello di arrivare alla frontline, mantenere le posizioni conquistate e sparare ogni tanto per fasi sentire dai soldati del regime. Soltanto quando gli ordini cambiano, si passa all’offensiva per conquistare l’edificio a pochi metri di distanza.

Ci muoviamo a piedi dal headquarter fino alla zona di combattimento. Sono meno di due chilometri ed il cammino è abbastanza semplice, si ode solo il rimbombo di qualche colpo di artiglieria sui vetri delle case. Più ci si avvicina alla zona di conflitto, più l’atmosfera diventa tesa e lo sguardo comincia a muoversi verso l’orizzonte alla ricerca dei tiratori scelti del Presidente. Ed allora si comincia a correre, a scappare del sibilio dei proiettili nell’attesa del tonfo secco sulle pareti di granito, a spostarsi da un riparo all’altro come biglie impazite. Ci si prepara alla corsa, ci si fa piccoli e si attraversa sperando che il soldato di Assad  si sia distratto o sia diventato all’improvviso clemente. Una roulette russa dove ogni passaggio è scandido da un tachicardico battito di cuore.

Diverse strade e tante corse dopo, si arriva al punto uno della frontline dove gli animi finalmente si rilassano. Ora si sorride, si prepara il rifugio per le prossime ore formato da pane arabo humus e munizioni e si attende impazienti, davanti ad una tazza çay, l’ora del cambio del turno.