Val di Susa
Fabio Bucciarelli per Il Fatto Quotidiano
Giaglione, Val Susa, Italy – July 2011
Passano pochi minuti quando la polizia decide di attaccare, tralasciando il fatto che caricare dei manifestanti armati di pietre e bastoni in un bosco possa non essere la migliore soluzione offensiva. A causa della conformazione del terreno, e della pesantezza delle armature antisommossa, la polizia non può fare un fronte comune, le maglie si aprono e le forze dell’ordine vengono costrette a ripiegare. Tutti tranne uno, che malauguratamente inciampa in una pietra e si ritrova con il viso fra i piedi dei dimostranti. La tensione continua a crescere, questa volta accompagnata dall’euforia. Il poliziotto viene circondato da decine di persone, spogliato di scudo e pistola e appartato dall’ira della massa. Provo nuovamente ad avvicinarmi per fotografare l’accaduto, ma ancora vengo allontanato malamente ed il poliziotto cancellato dalla mia vista. Decido così di allontanarmi di qualche metro e scattare un’ultima foto della massa prima di nascondere l’attrezzatura e riavvicinarmi, per poter almeno vedere quello che sta succedendo. Fra urla e bombe carta, si parla della sorte del polizziotto, su cosa fare e come sfruttare al meglio l’occasione: “Ora vede, aveva solo da non attaccare!”, “Nudo! Nudo!”, “Devono almeno riconsegnarci i nostri arrestati se lo vogliono rivedere intero!”. Fortunatamente, dopo un quarto d’ora il poliziotto viene riconsegnato con qualche acciaccatura alla sua famiglia; ma la pistola rimane ancora in circolazione. Nascono dei tafferugli fra i dimostranti ed i pochi che bramavano un’altra sorte per il poliziotto. Vedo la pistola allontanarsi. Quando ci sono delle armi da fuoco, e non si sa come usarle, il discorso cambia e spesso affiora il sangue. Qualche manifestante se ne va, altri si allontanano, tutti intimoriti da cosa può succedere. In questo momento le urla ed il nervosismo si placano ed incomincia la trattativa. Le forze dell’ordine rivogliono la pistola ed i manifestanti non la vogliono consegnare. Passano 20 minuti e molte voci, ma nulla cambia. All’improvviso scoppia nuovamente il boato: è stato raggiunto l’accordo. La pistola, in cambio di un manifestante arrestato. Questo è quello che viene riportato da tutti i dimostranti: molti si lamentano mentre altri ringraziano il cielo di non essere finiti in una carneficina. Un rappresentante dei manifestanti, tornando dal meeting con le forze dell’ordine commenta (forse solo per calmare gli animi dei più agguerriti o forse perché è stato veramente minacciato) che riconsegnare l’arma fosse l’unica soluzione possibile, differentemente i poliziotti avrebbero cominciato a sparare.
Sono le 16:40 e gli scontri per oggi sono finiti. Un uomo con il megafono consiglia di scendere e di non presidiare il bosco questa notte. Nuovamente con la mia macchina fotografica in mano (che avevo ritirato fuori già da qualche decina di minuti) rivedo le immagini fatte: le ultime foto sono quella del manifestante ferito e dell’assemblamento di gente su un uomo. Sufficenti come documento degli scontri. A volte bisogna sapere dove fermarsi e riconoscere i limiti della situazione per avere ancora voce per documentare le prossime guerre.