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©Fabio Bucciarelli for Il Fatto Quotidiano

October 13, 2011

TAWARGHA: i neri, il Rais e la città della vendetta

La distruzione di Misurata in due mesi è paragonabile a quella di Sarajevo in  4 anni e a quella di Beirut dopo 15 anni di guerra civile. I segni della guerra, ora indelebili, fra qualche anno diventeranno più flebili, ma l’odio dei cittadini di Misurata verso quelli di Tawargha sarà difficile da dimenticare. “Non sono un guerrigliero, ma se avessi armi di distruzione di massa, le userei contro la popolazione di Tawargha”, mi confida il maestro di inglese Hassam fuori dall’albergo dei giornaliti di Misurata. A 20 Km  verso est, lungo la strada che porta a Sirte, le case di Tawargha, continuano a bruciare. Gli shabab, i guerriglieri della rivoluzione,  a meno di due mesi dalla conquista della città stanno prendendo la loro rivincita. I più forti combattenti libici, fanno difficoltà ad ammetterlo, ma si sentono  traditi dai cittadini della vicina Tawargha. Tutti di colore, provenienti dalle zone più remote del sud della Libia hanno deciso di appoggiare i lealisti durante l’assedio della città. “Qui non c’era nemmeno l’ospedale, li curavamo noi, eravamo i loro fratelli,  gli abbiamo dato lavoro e amicizia e loro si sono schierati con Gheddafi. E hanno fatto la sua stessa fine”. Dalla città, ora fantasma, sono scappati tutti. Chi a Tripoli, chi  a Gadamesh e chi a Shabba.

Mentre le bandiere verdi continuano ad ornare i tetti delle case in fiamme e qualche shabab allena la mira con il kalashnikov, nel suo ottimo inglese, Ibrahim, insiste nel dirmi che non è un discorso razzista, non c’è stata pulizia etnica ma solo giustizia. L’unica certezza è che la guerra porta distruzione e disperazione: è difficile giudicare, dire chi è il buono e chi il cattivo. Sicuramente quelli che vengono più colpiti sono sempre i civili, i rifuigiati, coloro che scappano dal conflitto e si ritrovano a dovere iniziare tutto da capo. Prima da Tripoli, poi da Misurata ed ora da Sirte. Mentre inferva la battaglia nella città natale di Gheddafi ed il comandante Adel Al-Hasi annuncia che  “in due giorni, Inshallah, Sirte sarà libera”, i casermoni ad est di Tawargha sono diventate le nuove case provvisorie per i profughi di Sirte. Bamali Immiliat, nascondendosi da orecchie indiscrete mi confida che a Sirte tutti i libici stanno con Gheddafi e che preferiscono morire che arrendersi. Ancora Gheddafi ed ancora chi crede in lui. “Per fortuna alle 7 di questa mattina sono riuscito a scappare con le mie 6 bambine e 5 figli scartando i cecchini di Gheddafi. A Sirte non si riesce più a vivere, il cibo scarseggia, l’elettricità manca e la gente non può più uscire di casa, la città è assediata ed i lealisti rimasti, circa 1500, useranno qualsiasi mezzo per resistere”.  La guerra continua e difficilmente terminerà prima che il rais venga catturato. Alla domanda sulla fine di Gheddafi, uno dei figli di Bamali si avvicina e dice che nessuno sa dive è scappato, ma forse ieri dalla finestra della sua casa in Sirte gli è sembrato di vedere Moutassem. O forse era solo uno che gli assomigliava.