DISPATCH #2 FROM UKRAINE | IL FATTO

Kyiv, Ukraine | March 2022

March 10, 2022

Kyiv, Ukraine, per Il Fatto Quotidiano
10 Marzo 2022

“Il ruolo del giornalismo è la ricerca della verità, ed in guerra questa verità è ancora più nascosta”, mi diceva Mimmo Candito, nel 2011, quando insieme in Libia documentavamo un paese in rivolta che ancora oggi non trova la sua pace. Qui in Ucraina più che mai, la ricerca della verità, l’attendibilità delle fonti, quello che viene detto e non detto, rende questo caos ancora più disordinato. L’unica possibilità, la certezza è andare a vedere con i propri occhi quello che accade sul campo. Quello che si può vedere e quello che ti lasciano vedere. La propaganda è diventata un arma di guerra, capace di persuadere i più indecisi e dare ragione agli stolti.

Ogni guerra ha i suoi morti ed i suoi feriti. Le immagini delle vittime di questo conflitto tardano a mostrarsi. Forse è parte della propaganda che considera una fotografia o un video di un ferito un segno di debolezza verso il nemico davanti al quale bisogna sempre mostrarsi invincibili. Mentre vittime di guerra palesano un’umanità disastrosa alla quale non dobbiamo mai abituarci. E’ importante guardare e ricordare per smettere di fare la guerra. Negli ultimi giorni ho girato in lungo e in largo la capitale per provare ad entrare in cinque diversi ospedali, sia militari che civili, ai quali mi è stato vietato l’acceso. In uno la tensione era così alta che al check-point d’ingresso ho dovuto chiedere se per favore potessero smettere di puntarci le armi. Ho poi scoperto che erano appena arrivati dei feriti, le sale chirurgia erano piene ed i nervi tesi.

Solo nell’ospedale più vicino alla linea del fronte di Irpin il dottor Novikov mi accoglie e prova ad aiutarmi nella mia ricerca a domande ancora senza risposta. “Io e i miei colleghi abbiamo curato diversi feriti, molti dei quali provengono dal fronte di Irpin. Vittime degli scontri, dei proiettili e dell’artiglieria.” Come il militare nudo nella sala chirurgica al quale gli stanno togliendo due frammenti di mortaio dalla gamba destra o il civile intubato con i polmoni spappolati, probabilmente dell’onda d’urto di un altro mortaio. “Negli ultimi due giorni, gli scontri sono diminuiti di intensità e le vittime sono diminuite. Ma tre giorni fa è stata una giornata difficile”.

A Kiev, le ultime ventiquattro ore sono state le più tranquille dall’inizio dell’invasione. Le macchine procedono spedite fra un check point e l’altro. Sono i miliziani della resistenza a sorvegliarli, quelli con il laccio giallo al braccio ed il fucile in mano. Si affacciano, ti guardano e chiedono i documenti. Alla risposta giornalisti, a volte chiedono anche il tesserino, per vedere se effettivamente non sei un sabotatore, un russo. Qualche persona fa la coda ai pochi supermercati rimasti aperti mentre gli altri rimasti, corrono attraverso le arteria della città che portano i segni della distruzione dell’artiglieria di Putin. Un antenna bombardata, macchine carbonizzate e tante barricate. Un palazzo colpito da un missile che sembra essere stato sbranato da un mostro infernale. Dalle finestre penzolano ancora le lenzuola: forse erano state lavate ed erano pronte per esser usate prima di sporcarsi di guerra. Una carcassa di una lavatrice e un materasso si affacciano sul balcone pericolante da dove si possono vedere gli alti palazzi di Kiev alternarsi con i chruščëvka, gli edifici a cinque piano sovietici che prendono il nome dal Presidente Nikita Chruščëv.

I cosiddetti corridoi umanitari, oggi ufficializzati in più città dell’Ucraina, arrivano dopo giorni  di violente battaglie che hanno infuriato lungo il fronte nord-occidentale della capitale. Da tre giorni è cominciato l’esodo delle persone dalle città sotto assedio dove si combatte, Irpin, Bucha, Hostomel. La maggioranza di persone è già fuggita sotto i copi dei mortai. Come due giorni fa, quando una donna con i suoi due figli sono morte sul colpo lungo la strada che porta fuori città. Mentre l’uomo è deceduto dopo essere stato soccorso. In totale le vittime di quella dannata giornata sono otto, secondo il sindaco di Irpin. L’avanzata delle armate Russa è lenta ma costante nel provare a circondare la capitale e metterla sotto scacco. Il tempo, anche se apparentemente sembrava giovare agli Ucraini, con ogni giorno trascorso diventato una vittoria, alla lunga può sfinire e favorire un esercito molto più grande abituato a guerre decennali.

A Kiev si vive una nuova normalità alla quale i pochi civili non vogliono abituarsi. Sanno che devono prepararsi ed organizzare la resistenza. Sono tutti impegnati, c’è chi trasporta viveri, benzina, giubbotti antiproiettili e armi. I miliziani preparano trincee per nascondersi e sparare all’invasore quando entrerà in città. Dentro le trincee le poche armi, qualche colpo di RPG, qualche Kalashnikov e tante molotov, pronte ad essere lanciate da chiunque per rallentare l’avanzata sovietica. Ma soprattutto tanta determinazione, nazionalismo e voglia di resistere. “Preferisco morire che scappare, questo è il mio paese. Tutti sanno chi sono” mi confida Alex, imprenditore, mentre corre lungo la città oramai buoi. Rimane ancora tanto da fare e fra poco comincerà il coprifuoco.

Dopo ore di silenzio suona un nuovo allarme, la sirena carica la sua voce e comincia ad urlare, una due tre volte, ma tanto nessuno l’ascolta più. La città è sempre più sola a e chi è rimasto si è oramai abituato. Suona una quarta volta, ma forse ancora normale dopo una giornata di calma apparente. Suona una quinta e sesta volta, la tensione sale si scappa di casa e ci si dirige verso il più vicino rifugio sotterraneo.

 

An elderly woman is helped by family members and an army volunteer to cross under the destroyed Irpin bridge after leaving her home due to Russian artillery attacks.