Dispatch #3 from Ukraine | Il Fatto

March 18, 2022

Kyiv 19 Marzo 2022.
 
Per la prima volta non ci sono i militari al check-point di Piazza Maidan. La macchina passa indisturbata zigzagando fra i cavalli di Frisia mentre il mio sguardo rimane incredulo, ancorato a guardare fuori dal finestrino. Un uomo a terra, con le braccia e le gambe allargate e la faccia schiacciata sull’asfalto. Sara vivo o morto? Intorno a lui almeno quattro uomini armati, i soldati di guarda al posto di blocco. Ci sono anche dei poliziotti con una diversa divisa e le stesse armi. “L’abbiamo preso mentre registrava e l’abbiamo controllato: ha i nostri video, le fotografie delle armi e in un altro telefono, solo numeri Russi. E’ una sleeping-spy”, una spia dormiente. “E’ un Ucraino al soldo dei Russi, ingaggiato per dare informazioni riservate su di noi. Vive come noi e si sveglia quando non ce l’aspettiamo”. Con il palmo della mano rivolto verso l’alto, vedo un dito muoversi e poi la testa girare. E’ vivo. 
 
Gli strumenti del sabotatore sono disordinati su uno zaino vicino al suo viso. Due telefoni, un caricatore, un portafoglio, un cappello e una bottiglia di acqua, chiusa. “Controlliamo chiunque abbia una bottiglia di acqua in mano, se chiusa. E’ un segno di riconoscimento delle spie”. Mi chiedo fino a che punto sia arrivata la paranoia e quante volte nei scorsi giorni sono stato fermato per girare con una bottiglia di in mano.
 
A Kyiv sono bastate tre settimane per alterare qualsiasi forma di normalità. Anche il nome della città è cambiato. Da Kiev a Kyiv, dal Russo all’Ucraino. Il mondo Occidentale si unisce nell’appoggio politico e dialettico per supportare a distanza il popolo gialloblu, mentre la capitale europea di tre milioni di abitanti è diventata un dedalo di trincee e barricate. I labirinti si scavano nelle piazzole, lungo le vie dei treni e fra i palazzi e i sacchi di terra raccolti vengono portati lungo le strade per creare enormi pareti contro i proiettili. Sono coraggiosi gli Ucraini e diffidenti. Non si fidano e non vogliono mostrare debolezze a tal punto di fermare la stampa nel documentare le vittime dell’invasione. Se i feriti ed i morti non si vedono e come se non esistessero, quindi non si possono fotografare. 
 
Negli ultimi quattro giorni gli attacchi dei missili Russi si sono avvicinati al centro della città concentrandosi sui quartieri residenziali di Podil e Sviatoshyn nella parte ovest e nord-ovest di Kyiv, non lontani dal fronte di Bucha ed Irpin. Lungo il fronte Occidentale l’esercito di Putin, fermato dalla tenacia dei soldati Ucraini, si è allargato tagliando la M-06, la strada che porta a Leopoli, ed è sceso come un cappio verso sud per strozzare la capitale. Lentamente ma senza sosta l’esercito Russo avanza mentre la sua l’artiglieria colpisce la capitale da fuori città. Il tonfo degli attacchi solitamente comincia alle prime luci delll’aba, forse per svegliare le poche persone rimaste e per farle alzare con l’angoscia e la paura di essere i prossimi sfortunati. Perchè spesso di fato si tratta, di sorte nel camminare sul lato giusto della strada o nel vivere al piano di sotto a quello che viene bombardato. 
 
 
A Sviatoshyn un edificio è andato a fuoco dopo l’impatto: i pompieri portano fuori il corpo di una donna rimasta senza fiato mentre le colonne i fumo avvolgono lo scheletro di cemento. 
Oggi a Podil l’onda d’urto del missile ha distrutto i palazzi antistanti all’impatto e le finestre dei grattacieli a più di cento metri di distanza. Mentre beve da una ciotola seduto su uno sgabello in quello che rimane della sua cucina, Roman guarda intorno a se la sua vita scomparire. E’ ancora in ciabatte, il razzo l’ha svegliato facendolo cadere in un incubo. Ora è tutto traballante e bisogna camminare in punta dei piedi per non pestare gli oggetti scomposti sul pavimento. Al secondo piano Sinaida piange indicando le piante spappolate sul pavimento mentre suo figlio intona Caruso di Lucio Dalla, ricordando quando lavorava nella pizzeria da Mario. Dalla casa accanto esce una donna, ferita, accompagnata da quelli che sembrano essere i suoi figli. Avrà l’età di mia madre, ma con mezzo viso sanguinante ricoperto dalle bende e con i suoi ricordi richiusi in una valigia. Frammenti di vita, vittime di una guerra soffocante, racchiusi nella speranza di vivere lontano dal prossimo bombardamento. A Kyiv i giorni si susseguono con l’attesa di quello che succederà domani. La paura che tutto questo diventi una nuova normalità atterrisce più del conflitto. Ora mentre scrivo, sento in lontananza il sordo boato delle bombe, la prima, la seconda e poi di nuovo il silenzio di una città deserta durante il coprifuoco. Oramai le sirene non suonano più o forse sono io che mi sono abituato. 
 
©Fabio Bucciarelli per Il Fatto Quotidiano
 

Roman beve da una ciotola nella sua cucina distrutta da un attacco di un missile Russo, Kyiv, 19 Marzo 2022. […] Mentre beve da una ciotola seduto su uno sgabello in quello che rimane della sua cucina, Roman guarda intorno a se la sua vita scomparire. È ancora in ciabatte, il razzo Russo l’ha svegliato facendolo cadere in un incubo. Ora è tutto traballante e bisogna camminare in punta dei piedi per non pestare gli oggetti scomposti sul pavimento. Al secondo piano Sinaida piange indicando le piante sdraiate per terra, mentre suo figlio intona Caruso di Lucio Dalla ricordando quando lavorava nella pizzeria da Mario. Dalla casa accanto esce una donna, ferita, accompagnata da quelli che sembrano essere i suoi figli. Avrà l’età di mia madre, ma con mezzo viso sanguinante ricoperto dalle bende e con i suoi ricordi richiusi in una valigia. Frammenti di vita, vittime di una guerra soffocante, racchiusi nella speranza di vivere lontano dal prossimo bombardamento. A Kyiv i giorni si susseguono con l’attesa di quello che succederà domani. La paura che tutto questo diventi una nuova normalità atterrisce più del conflitto. […]

Per la prima volta non ci sono i militari al check-point di Piazza Maidan. La macchina passa indisturbata zigzagando fra i cavalli di Frisia mentre il mio sguardo rimane incredulo, ancorato a guardare fuori dal finestrino. Un uomo a terra, con le braccia e le gambe allargate e la faccia schiacciata sull’asfalto. Sara vivo o morto? Intorno a lui almeno quattro uomini armati, i soldati di guarda al posto di blocco. Ci sono anche dei poliziotti con una diversa divisa e le stesse armi. “L’abbiamo preso mentre registrava e l’abbiamo controllato: ha i nostri video, le fotografie delle armi e in un altro telefono, solo numeri Russi. E’ una sleeping-spy”, una spia dormiente. “E’ un Ucraino al soldo dei Russi, ingaggiato per dare informazioni riservate su di noi. Vive come noi e si sveglia quando non ce l’aspettiamo”. Con il palmo della mano rivolto verso l’alto, vedo un dito muoversi e poi la testa girare. E’ vivo. 
 
Gli strumenti del sabotatore sono disordinati su uno zaino vicino al suo viso. Due telefoni, un caricatore, un portafoglio, un cappello e una bottiglia di acqua, chiusa. “Controlliamo chiunque abbia una bottiglia di acqua in mano, se chiusa. E’ un segno di riconoscimento delle spie”. Mi chiedo fino a che punto sia arrivata la paranoia e quante volte nei scorsi giorni sono stato fermato per girare con una bottiglia di in mano.
 
A Kyiv sono bastate tre settimane per alterare qualsiasi forma di normalità. Anche il nome della città è cambiato. Da Kiev a Kyiv, dal Russo all’Ucraino. Il mondo Occidentale si unisce nell’appoggio politico e dialettico per supportare a distanza il popolo gialloblu, mentre la capitale europea di tre milioni di abitanti è diventata un dedalo di trincee e barricate. I labirinti si scavano nelle piazzole, lungo le vie dei treni e fra i palazzi e i sacchi di terra raccolti vengono portati lungo le strade per creare enormi pareti contro i proiettili. Sono coraggiosi gli Ucraini e diffidenti. Non si fidano e non vogliono mostrare debolezze a tal punto di fermare la stampa nel documentare le vittime dell’invasione. Se i feriti ed i morti non si vedono e come se non esistessero, quindi non si possono fotografare. 
 
Negli ultimi quattro giorni gli attacchi dei missili Russi si sono avvicinati al centro della città concentrandosi sui quartieri residenziali di Podil e Sviatoshyn nella parte ovest e nord-ovest di Kyiv, non lontani dal fronte di Bucha ed Irpin. Lungo il fronte Occidentale l’esercito di Putin, fermato dalla tenacia dei soldati Ucraini, si è allargato tagliando la M-06, la strada che porta a Leopoli, ed è sceso come un cappio verso sud per strozzare la capitale. Lentamente ma senza sosta l’esercito Russo avanza mentre la sua l’artiglieria colpisce la capitale da fuori città. Il tonfo degli attacchi solitamente comincia alle prime luci delll’aba, forse per svegliare le poche persone rimaste e per farle alzare con l’angoscia e la paura di essere i prossimi sfortunati. Perchè spesso di fato si tratta, di sorte nel camminare sul lato giusto della strada o nel vivere al piano di sotto a quello che viene bombardato. 
 
 
A Sviatoshyn un edificio è andato a fuoco dopo l’impatto: i pompieri portano fuori il corpo di una donna rimasta senza fiato mentre le colonne i fumo avvolgono lo scheletro di cemento. 
Oggi a Podil l’onda d’urto del missile ha distrutto i palazzi antistanti all’impatto e le finestre dei grattacieli a più di cento metri di distanza. Mentre beve da una ciotola seduto su uno sgabello in quello che rimane della sua cucina, Roman guarda intorno a se la sua vita scomparire. E’ ancora in ciabatte, il razzo l’ha svegliato facendolo cadere in un incubo. Ora è tutto traballante e bisogna camminare in punta dei piedi per non pestare gli oggetti scomposti sul pavimento. Al secondo piano Sinaida piange indicando le piante spappolate sul pavimento mentre suo figlio intona Caruso di Lucio Dalla, ricordando quando lavorava nella pizzeria da Mario. Dalla casa accanto esce una donna, ferita, accompagnata da quelli che sembrano essere i suoi figli. Avrà l’età di mia madre, ma con mezzo viso sanguinante ricoperto dalle bende e con i suoi ricordi richiusi in una valigia. Frammenti di vita, vittime di una guerra soffocante, racchiusi nella speranza di vivere lontano dal prossimo bombardamento. A Kyiv i giorni si susseguono con l’attesa di quello che succederà domani. La paura che tutto questo diventi una nuova normalità atterrisce più del conflitto. Ora mentre scrivo, sento in lontananza il sordo boato delle bombe, la prima, la seconda e poi di nuovo il silenzio di una città deserta durante il coprifuoco. Oramai le sirene non suonano più o forse sono io che mi sono abituato.