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Italy | May 2023

June 1, 2023

                                                                                                            La Repubblica, 25 Maggio 2023

In un liquido verde, marrone, nero e a tratti giallo elettrico navigano scarpe, galline annegate, barattoli di conserva, rifiuti, piante sradicate e tutto quanto può prendere il largo in una cittadina di 10 mila abitanti sommersa da otto giorni. In superficie affiorano chiazze di carburante, i liquami delle fogne scoppiate, copertoni strappati alle auto travolte dalla piena: montagne di letame, lavato via dalle stalle, si sciolgono nella melma che copre quelle che sono state strade. Da questo liquido, colpito dal sole, si alzano nuvole di vapore già piene di zanzare. Una calda umidità odora di pesce, benzina, concimi chimici, alghe ed escrementi marciti.

Non si può dire che Conselice Lavezzolaepicentri colpiti dalle conseguenze più resistenti della catastrofe, siano ancora sott’acqua. Vaste zone rimangono semplicemente inghiottite dentro un asfissiante elemento sconosciuto: tra uno e due metri di miscela tossica che si infilano nelle case e che ora minacciano di esplodere in una bomba infetta. Isolati nella palude restano oltre 3 mila ettari, centinaia di aziende e le abitazioni di 1500 famiglie. Circa 500 le persone che rifiutano di abbandonare le case inondate fino al primo piano. Da più di una settimana resistono bloccate senza acqua, luce e gas, sconnesse dal resto del mondo.

“Ho solo questo posto – dice affacciata al balcone Claudia Boni, maestra elementare di 44 anni – non posso perderlo. Se mi lascio sfollare in una palestra, la casa poi non la vedo più”. I naufraghi di Conselice sono stati ribattezzati gabbiani. Stanno immobili alla finestra, o sui terrazzi, dall’alba al tramonto: appena fa buio vanno a dormire, sognando invano di risvegliarsi su un pianeta asciutto. I rifornimenti essenziali, a partire dalle medicine, vengono distribuiti da tre anfibi, nove gommoni e 70 uomini della protezione civile. A questi si aggiungono centinaia di volontari che solcano gli acquitrini, oltre la ferrovia e nell’area del campo sportivo, a bordo di trattori-mostro offerti dai contadini che quest’anno non potranno coltivare le campagne sradicate, asfissiate, inzuppate e marcite.

La popolazione intuisce che l’attende almeno un’altra settimana di melma alta, seguita da mesi di edifici da svuotare, disinfettare, asciugare. Le perizie dei vigili del fuoco sulle fondamenta anticipano massicce inagibilità. “Vogliono ammassarci nei centri di raccolta ad Argenta – dice Aurelio Gaudenzi, 64 anni artigiano – o nei campeggi. Si stanno cercando prefabbricati da terremotati: significa che Conselice è da buttare per anni”. Più ancora del futuro incerto, preoccupa l’irrisolta emergenza presente. La palude cala di pochi centimetri al giorno. Una lentezza esasperante. La contestata sindaca Paula Pula ripete che è pericoloso infilarci gambe e piedi nudi, che questo liquido irrita pelle e mucose, che i bambini vanno tenuti lontani.

In un liquido verde, marrone, nero e a tratti giallo elettrico navigano scarpe, galline annegate, barattoli di conserva, rifiuti, piante sradicate e tutto quanto può prendere il largo in una cittadina di 10 mila abitanti sommersa da otto giorni. In superficie affiorano chiazze di carburante, i liquami delle fogne scoppiate, copertoni strappati alle auto travolte dalla piena: montagne di letame, lavato via dalle stalle, si sciolgono nella melma che copre quelle che sono state strade. Da questo liquido, colpito dal sole, si alzano nuvole di vapore già piene di zanzare. Una calda umidità odora di pesce, benzina, concimi chimici, alghe ed escrementi marciti.

L’incubo è un contagio di massa, una non affrontabile emergenza igienico-sanitaria. Pronta, da venerdì, una pubblica vaccinazione a tappeto contro il tetano: in preparazione profilassi e linee guida anche in arabo per scongiurare salmonella e colera. “Il guaio – dice Stefano Parigi, capo dei pompieri che mantengono in vita il centro oggi più allagato della Romagna – è che Conselice giace sul fondo di un barile, a 6 metri sul livello del mare. I 400 milioni di metri cubi della piena di SillaroSanterno Reno, è scivolata in questo catino. Il deflusso, oltre che difficile, ora è pericoloso. Gli argini sono stressati, se 100 idrovore li svuotano di colpo, prima che il sole li indurisca, minacciano di sgretolarsi come castelli di sabbia. Per la gente è un calvario, ma serve pazienza”.

Centimetro dopo centimetro la melma scende: per chi ha la casa sommersa da otto giorni, la prospettiva di trovarsi solo alla metà del tempo ipotizzato prima di rivedere la terra, risulta però insopportabile. Distese di frutteti soffocano, decine le stalle salvate dalla solidarietà. “Per tutti gli altri romagnoli – dice Matteo Cricca, operaio di 43 anni – l’alluvione è arrivata e in due giorni se ne è andata. Una tragedia, ma sono già al lavoro per ricostruirsi una vita. Noi no: l’attesa distrugge la testa, è una condanna ancora peggiore del fango. Lo stabilimento di Unigra, che raffina olii vegetali, è devastato: se non riapre, restano senza reddito 800 famiglie. Siamo minacciati dal tetano, ma se ci salviamo rischiamo di dover emigrare per sempre”. Campagne e quartieri allagati sono deserti. Rare persone, con gli stivali da pesca fino al petto, vagano con sacchi di vestiti recuperati, scope per spingere i liquami chissà dove, casse di legno con i libri scolastici dei figli. Qualcuno traina cubi galleggianti di polistirolo, carichi di mobili e borse.

Gli anziani si lasciano portare in farmacia sulle spalle dei volontari, che li recuperano dalle ringhiere dei giardini. Cesarina Gamberini, 71 anni pensionata, stende la biancheria in giardino, pochi centimetri sopra il pelo della palude. “A me – dice – fanno paura i rifiuti che fermentano, i ratti e le nutrie ormai padroni di salotti e cucine. Invece di vaccinarci contro il tetano, le autorità facciano smaltire il pattume e disinfestino le case”.

Due vecchi allo stremo, bloccati sulla sedie a rotelle, vengono issati sul rimorchio del trattore di Fabrizio Malmori, contadino con 100 ettari di terra inabissati. La squadra dei suoi ragazzi, da una settimana, porta acqua e cibo a 400 isolati. “Le nostre aziende sono chiuse – dice Fabio Zanelli, 22 anni idraulico – meglio fare che pensare. Altri dieci giorni così però sarebbero imperdonabili. Facciano arrivare più pompe, versino la melma nei campi, non ci condannino tutti”.

Fogli di protesta vengono raccolti in bottiglioni di plastica che galleggiano ancorati ai segnali stradali. Decine le firme sotto l’appello “Fate presto, qui si muore”. Anche una buona notizia: martedì, fogna o non fogna, Alessandro Capirossi riapre la sua bottega da barbiere nella piazza del municipio. “O taglio e rado – dice – o non mangio. Fai un po’ te”.