Funarali di Stato B. La Repubblica

June 17, 2023

Finale di partita tra ultrà, schermi e madonne

In piazza Duomo i famosi passano ma non restano. Rimangono gli altri, uomini e piccioni. Appollaiati in attesa sulla statua equestre. O trascinati da una forza centripeta che ha perso però il suo centro.

Era un pomeriggio di sole imprevisto. I carabinieri, rigidi nelle loro uniformi, avevano rinviato fino a che era stato possibile il momento di calcare sulla fronte la lucerna con il pennacchio. Il sottogola era stato abbassato sul mento già lucido di sudore. Lo sguardo cercava una fissità intensa, che non sfigurasse nelle riprese di troppe telecamere.

 

Nessuna disciplina prepara mai abbastanza per l’eccezionalità di eventi non previsti da alcun calendario, o regola. La gente, quella era già lì da ore. Sotto gli ombrellini chiari, dietro gli occhiali scuri. Con l’abito migliore o così com’erano. Per affetto e per difetto. Per inerzia e per volontà. Trascinati, come spesso, da una forza centripeta, cercando invano il corpo al centro della traiettoria. Cercando un centro che non c’è. Pregando, perfino, in ginocchio sul selciato, superate le transenne, brandendo come lasciapassare un’immagine sacra: “Regni sulla Terra la Signora di tutte le nazioni, scenda lo Spirito Santo per preservarle dalla degenerazione, dal disastro e dalla guerra”. Amen. E ripeti, perché possa funzionare. Perché se ne accorgano anche quelli che continuano a mandare messaggi dai telefonini, a scattare fotografie e caricarle sui loro profili, a parlare, urlare addirittura, quando dovrebbe essere un’occasione per il silenzio: un minuto, un’ora, fino a nuovo segnale.

Lì, i famosi non stavano. Passavano e andavano. Nell’isola d’ombra conquistata con anni di sacrifici per la causa, dedizione ricambiata. O per elezione, nomina, ereditarietà. Scivolati dentro come in ogni corridoio. La piazza era per gli altri, uomini e piccioni. Così simili, se li osservi bene, nei loro movimenti. S’addensano, scappano al primo rumore, si ricongiungono. E salgono, verso l’alto, sul piedistallo, la statua, il cavallo. Sulla spada sguainata, prospettiva affilata. Dimmi cosa vedi tu da lì.

Lo vedi arrivare? Vedi l’orizzonte spostarsi, l’estrema porta spalancarsi? Bisognerà fare posto, prepararsi all’inverosimile o è soltanto una cerimonia come altre, con la sua tabella di marcia, tempi da non sforare, codici da rispettare? Che cosa ci facevano allora quei ragazzi felici come zingari perché potevano scandire per l’ultima volta lo slogan della loro gioventù vincente, quando non erano re, ma avevano un re e per alcuni non è una consolazione, è proprio la stessa cosa: conta il risultato. Campione d’Europa, capitale del mondo, non è più lontana Milano dalla tua terra.