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Kibbutz Beit Kama | October 2023

November 2, 2023

Kibbutz Beit Kama ( Deserto del Negev) , Israel.

“Non c’è tempo più d’aspettare, abbiamo subito reagito, anche se nessuno si aspettava quello che sarebbe accaduto”. Lungo la strada vuota che porta al confine con con Gaza, Ohad racconta la sua storia e quello dei Brothers in Arms, un’associazione di volontari, riservisti ed ex militari che solo nove mesi fa ha cominciato a protestare in modo pacifico contro il Presidente Netanyau e la riforma della giustizia proposta dal suo governo. “Per mesi abbiamo manifestato per il nostro popolo, per la democrazie di Israele e contro un governo che non ci rappresentava, ma ora è diverso. Ora siamo tutti insieme per sconfiggere il nemico comune.” E questo nemico si chiama Hamas. La rabbia si mischia alla speranza di un domani che sarà diverso e, come spesso accade, il dolore acceca subito qualsiasi possibilità di una pace duratura.

A meno di trenta chilometri dal confine con Gaza, i Brother in Arms hanno organizzato il loro punto logistico, da dove organizzano le missioni dei territori colpiti per portare supporto alla popolazione, prima militare e poi umanitario. Il giorno dopo l’eccidio erano in venti mentre ora centinaia di persone si sono unite al loro movimento facendo diventare il compound di Beit Kama la loro sede, un punto logistico ed operativo da dove partono le missioni verso i territori colpiti. Qui decine di persone davanti ai computer lavorano senza alzare lo sguardo, mentre gli ex militari si aggirano con fucili a tracolla nell’attesa della prossima chiamata. La loro capacità di rispondere immediatamente all’attacco è stata grazie alla rete logistica ed i I gruppi Telegram e Whatsapp che hanno portato le perone in piazza. Il loro trascorso nell’esercito ha fatto il resto.

What is left of one of the houses destoyed by a granade by Hamas on a Kibbutz neat the border with Gaza

 

“Dovete vedere con i vostri occhi quello che è successo e allora capirete anche voi” mi confida Ohad prima di entrare nel Kibbutz di Reim – Il termine deriva dall’ebraico e significa raccolta, riunione – una delle 22 comunità collettivistiche di Israele dove gli abitanti, rinchiusi in un campo delimitato da cancelli e filo spinato, vivono insieme condividendo i beni le risorse. Proprio queste barriere sono state spezzate dei militanti armati di Hamas aprendo una ferita difficile da rimarginare, prendendo d’assalto Re’im ed uccidendo 5 persone e sequestrandone altre 6. Abitazioni sventrate da colpi di RPG ed incendiate da granate è quello che rimane, insieme ai pochi vestiti dei militanti diventati stracci lasciati davanti ai giardini delle case. Mentre i soldati dell’IDF fanno brillare fanno brillare ordigni inesplosi, le carcasse delle macchine annunciano quello il peggiore incubo degli israeliani è diventato realtà, l’attacco a sorpresa durante lo Shabbat, il giorno sacro e di riposo per gli israeliani. Gli scheletri delle case ricordano il dramma di una zona di conflitto, mentre nelle stanze la vita si è fermata ai momenti dell’assalto dove gli oggetti di vita comune sono già diventati cimeli di una guerra inaspettata. L’infamia dei buchi nelle finestre causati dei proiettili di Kalashnikov racconta il dramma dell’assalto.

Ora senza permessi speciali né si entra né si esce dal Kibbutz Re’im, il più vicino al luogo diventato già simbolo del massacro terroristico di Sabato 7 Ottobre, il Nova Festival, dove, secondo i numeri ufficiali più di 260 persone sono state uccise a sangue freddo durante una festa Goa. Ori Tazchor ha la mano sinistra bendata ed i segni delle schegge delle espulsioni hanno marcato il suo viso. Ha ventiquattro anni ed era anche lui alla festa quando i miliziani hanno circondato l’area sparando sulle persone presenti. Ori Tazchor è un militare dell’esercito israeliano ed oggi è tornato in sevizio nonostante le ferite: “Questi sono i miei amici scomparsi” mi mostra così dal cellulare la sua lista di dolore capace di giustificargli qualsiasi atrocità per vendicare tutti i suoi amici uccisi.