THE WORLD WE LIVE IN EXHIBIT IN VITTORIO VENETO

April 30, 2024

From Gaza to South Sudan, from Brazil to Mexico, from Ukraine in Donbas in 2014 to the Russian invasion of 2022.  Through The Dream and the endless exodus of millions of people, to the most recent conflict between Israel and Hamas. I am happy to invite you to my upcoming solo exhibition in Vittorio Veneto, where the three floors of the Palazzo Todesco will host a selection of more than 130 photographs of the world we live in, from conflicts to emergencies to the migration of people in search of a better future.

The opening will be on March 23rd, and the exhibition will be open until May 26th.

 

Fotografia e pittura. Un dialogo aperto.
di Antonella Uliana, Critica e Storica d’arte

Un forte legame unisce da sempre pittura e fotografia da quel fatidico 19 agosto 1839, giorno in cui le invenzioni di Louis-Jacques Daguerre vennero rese pubbliche all’Accademia delle Scienze e delle Arti Visive a Parigi. L’arrivo di questa nuova forma d’arte non fu accolta con troppo entusiasmo dai pittori di allora tanto che ci fu qualcuno che affermò “Da oggi la pittura è morta”. Un iniziale rapporto di amore e odio che si trasformò nel tempo. La fotografia alla sua nascita guardava ai canoni e ai modelli dell’arte maggiore che storicamente la precedeva mentre la pittura si affiderà, superate le iniziali diffidenze, a questo nuovo mezzo di rappresentazione in grado di fermare il tempo e fornire ispirazione. Molti artisti dell’Ottocento e del primo Novecento utilizzarono stampe fotografiche per dipingere vedute o ritratti e anche nei dipinti con figura le fotografie si rivelavano d’aiuto perché sollevavano dalla necessità di una presenza prolungata dei modelli. Oggi sempre sempre più artisti scelgono questo medium come privilegiato modo per esprimersi oppure creano i loro dipinti basandosi su fotografie, istantanee scattate con una macchina fotografica o con il telefono cellulare.

Pittura e fotografia, due arti talvolta in competizione quindi, spesso in rapporto di dipendenza l’una dall’altra. Due realtà che non hanno mai potuto ignorarsi e si sono reciprocamente influenzate, due percorsi paralleli, un legame indissolubile.

Nessuno ora ha comunque più alcun dubbio che una fotografia possa trasformare un istante fugace in un’opera d’arte ed entrare nei musei. Il lavoro di Fabio Bucciarelli ne è testimonianza. Creatore di immagini tecnicamente perfette, esteticamente ricercate, dense di significati. Immagini che raccontano la realtà in modo coinvolgente e diretto. E, più o meno consapevolmente, ci parlano ancora una volta dello stretto rapporto tra pittura e fotografia. In uno scatto sulla grande marcia di ritorno a Gaza c’è Delacroix con la sua Libertà che guida il popolo, “il primo quadro politico nella storia della pittura moderna” come venne definito. Ci parlano del grande artista francese il riferimento formale ad una composizione piramidale e le linee direzionali, create da gesti e sguardi, che conducono al movimento deciso del braccio destro della figura centrale. In Delacroix è l’immagine simbolica della Libertà che agita il tricolore invitando il popolo in armi a seguirla, nella fotografia di Bucciarelli un uomo che procede incitando con slancio e vigore la folla tumultuosa. La tragicità delle scene è amplificata da un identico cielo grigio; nuvole, polvere, il fumo nero delle gomme bruciate impediscono di vedere il sole ma sulle dominanti tonalità scure si impongono all’occhio le stesse accensioni cromatiche di rosso vivo. Travolgente è la medesima direzione del moto dei protagonisti che avanzano con decisione verso l’osservatore.

Questi scatti di Bucciarelli suggeriscono una relazione con il dramma del vero di un altro grande pittore dell’Ottocento francese, la dinamicità dei movimenti e l’espressione di energia e di spinta interiore di certi suoi quadri. Si tratta di Theodore Gericault che condivide con Delacroix l’atteggiamento di fronte alla storia e alla condizione dell’esistenza umana; entrambi interpretano infatti la poetica romantica degli oppressi e dei vinti protagonisti della storia. E questi sono, non a caso, i soggetti privilegiati del lavoro del fotografo italiano che, attraverso le sue immagini, vuole cercare la verità e dare voce agli ultimi.

“Se la sofferenza è distruzione e morte il mio compito è mostrare tutto questo e dare alle persone gli strumenti per decodificarlo. Se c’è la guerra siamo noi esseri umani che l’abbiamo creata ed è giusto documentarla”. Così racconta una guerra in Africa, violenta e senza tregua, un conflitto di potere tra gruppi etnici. È importante per lui esserci e testimoniare la verità della tragedia ma, di fronte a questi scatti nel Sud del Sudan, emerge evidente la capacità di Bucciarelli di fissare la realtà in immagini dove spazialità e composizione sono suggerite da criteri estetici ed espressivi che hanno il potere di sollecitare nell’osservatore particolare coinvolgimento e risonanza. Intravediamo Caspar David  Friedrich in quei contrasti tra l’oscurità della terra e la luminosità del cielo, in quei paesaggi che verso lo sfondo paiono slittare lentamente nell’irreale, avvolti dalle nebbie, in quelle figure immobili di fronte all’incomprensibile. La sublime malinconia, la solitudine, l’angoscia esistenziale del pittore tedesco si trasformano, in queste fotografie, nel racconto di vita della popolazione Dinka. Uomini e donne, vecchi e bambini abbandonati al proprio destino, bloccati privi di scampo in una realtà senza futuro, imprigionati in un paesaggio surreale tra alberi scheletrici, attorti e nodosi come la loro esistenza oppure fermati, nel loro avanzare, dal filo spinato. Figure che si profilano in controluce sul fondo avvampato e fumoso. Il fotografo diviene testimone della storia nel luogo dove i fatti accadono, ambasciatore di un’informazione necessaria per raccontare i drammi dell’umanità lontana dai nostri occhi.

Ancora alberi nelle fotografie di Bucciarelli ma questa volta sono quelli che bruciano in Amazzonia. Il polmone verde del nostro pianeta, minacciato dalla deforestazione e trasformato in un tragico rogo appare, in questi scatti, vicino alla sensibilità pittorica di William Turner, l’artista del Romanticismo inglese che fonda il proprio linguaggio sul contrasto tra densità dell’atmosfera e trasparenza della luce. L’immagine del fotografo fissa la realtà dell’incendio attribuendole una innegabile, sottile componente di ricercatezza estetica in quel rapporto tutto cromatico tra la barriera scura della foresta e l’incandescenza luminosa del cielo coperto dalle fiamme.

Luce diffusa che definisce visioni nitide, luce che accentua un particolare mettendolo in risalto, luce che colpisce le forme direttamente o attraverso varchi inattesi, luce che crea aloni e dissolvenze o che potenzia le note realistiche del dettaglio. Ma nel lavoro di Bucciarelli la componente estetica che rende l’immagine “artistica” è solo un elemento di lettura del suo “essere fotografo”. La fotografia è documentazione della realtà, testimonianza e denuncia dei fatti. È la memoria storica dell’umanità. Un’immagine può essere più forte di tante parole perché è un universo nello stesso tempo chiuso e aperto a mille interpretazioni e, proprio per questo, scuote le coscienze e fa riflettere. Fabio Bucciarelli è con sapevole della grande responsabilità, e anche del privilegio, di tramandare alla storia la storia stessa, attraverso i suoi occhi.