Tawargha
Fabio Bucciarelli per Il Fatto Quotidiano
Tawargha, Libya – October 2011
Mentre le bandiere verdi continuano ad ornare i tetti delle case in fiamme e qualche shabab allena la mira con il kalashnikov, nel suo ottimo inglese, Ibrahim, insiste nel dirmi che non è un discorso razzista, non c’è stata pulizia etnica ma solo giustizia. L’unica certezza è che la guerra porta distruzione e disperazione: è difficile giudicare, dire chi è il buono e chi il cattivo. Sicuramente quelli che vengono più colpiti sono sempre i civili, i rifuigiati, coloro che scappano dal conflitto e si ritrovano a dovere iniziare tutto da capo. Prima da Tripoli, poi da Misurata ed ora da Sirte. Mentre inferva la battaglia nella città natale di Gheddafi ed il comandande Adel Al-Hasi annuncia che “in due giorni, Inshallah, Sirte sarà libera”, i casermoni ad est di Tawargha sono diventate le nuove case provvisorie per i profughi di Sirte. Bamali Immiliat, nascondendosi da orecchie indiscrete mi confida che a Sirte tutti i libici stanno con Gheddafi e che preferiscono morire che arrendersi. Ancora Gheddafi ed ancora chi crede in lui. “Per fortuna alle 7 di questa mattina sono riuscito a scappare con le mie 6 bambine e 5 figli scartando i cecchini di Gheddafi. A Sirte non si riesce più a vivere, il cibo scarseggia, l’elettricità manca e la gente non può più uscire di casa, la città è assediata ed i lealisti rimasti, circa 1500, useranno qualsiasi mezzo per resistere”. La guerra continua e difficilmente terminerà prima che il rais venga catturato. Alla domanda sulla fine di Gheddafi, uno dei figli di Bamali si avvicina e dice che nessuno sa dive è scappato, ma forse ieri dalla finestra della sua casa in Sirte gli è sembrato di vedere Moutassem. O forse era solo uno che gli assomigliava.