The Dream

Fabio Bucciarelli per Il Fatto Quotidiano
The Dream project, 5 Novembre 2015

Molte persone soffrono, ma alcuni soffrono più di altri. La voglia di libertà e di democrazia e la speranza di un futuro sono le ragioni alla base di molti conflitti dove migliaia di persone vengono costrette a usare insanguinate armi per ribellarsi contro i loro sovrani.
Le rivoluzioni sono processi feroci che costringono milioni di persone a lasciare la loro patria. Sono processi così lenti, che spesso si dimenticano le ragioni che le hanno provocate. Ed una volta finite, non appena l’interesse mediatico svanisce, lasciano morte e distruzione, oltre che milioni di persone abbandonate al loro destino, vittime di una guerra non hanno mai voluto. Uomini che non hanno mai combattuto, sparato o ucciso. Donne e bambini che non hanno mai vinto né perso, ma solo partecipato a quello che ha cambiato le loro vite per sempre. Il loro unico errore: essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. La loro sfortuna: dover scegliere tra rimanere in un paese in fiamme o abbandonare la loro vita.

Se le rivolte che hanno infuocato i paesi arabi siano state l’inizio di un processo democratico o solo un urlo di popoli repressi, è qualcosa che potrà giudicare soltanto la Storia. L’unica certezza è il numero impressionante di persone che sono fuggite dal cancro della guerra e che ora sono costrette a vagare in un limbo di nazioni. Rifugiati, migranti sfollati, fuggiti da conflitti e da carestie senza conoscere il loro destino, dove ogni nuovo giorno è sempre più a lungo del precedente.Uomini e donne ai quali non è rimasto nulla perché le bombe hanno distrutto la loro quotidianità, e bambini che hanno perso i loro genitori perché la rivoluzione gli li ha tolti per sempre. Milioni di persone che vagano da un conflitto all’altro, per i quali ogni paese diventa il punto di partenza per il successivo. Persone con una identità persa nel mare dell’oblio, in viaggio su maledette bache con la speranza di approdare sulle instabili coste italiane o greche.

E così anche il tempo cambia e acquista un significato diverso. I minuti passano, cambiano forma e diventano più lenti, i giorni si confondono con le settimane e le settimane con mesi, fino a farti dimenticare anche quando sei nato.

Era il 2011, quando in Libia per la prima volta ho visto con i miei occhi gli effetti diretti delle guerre e rivoluzioni conosciute come Primavere Arabe. Ero appena arrivato a Bengasi, mandato dal Fatto Quotidiano, quando ancora prima dell’intervento NATO, centinaia di persone si rifugiavano nei pressi del porto della città, dagli scontri fra l’esercito di Gheddafi ed i ribelli. Provenivano dal Bangladesh e dai paesi Sub-Sahariani, erano arrivati anni prima in Libia per lavorare in imprese di pulizia e fabbriche e una volta scoppiata la guerra, si sono ritrovati incastrati in un paese straniero.

Un anno dopo ho ritrovato gli stessi sogni spezzati lungo il confine fra Siria e Turchia dove intere famiglie fuggivano dai violenti scontri tra le forze di Assad e l’Esercito Libero Siriano (FSA). Mentre ad Aleppo regnava l’inferno, lungo la frontiera turca a Bab al-Salam era cominciata la grande migrazione. Migliaia di persone di attesa di lasciare il paese, accampate in campi provvisori. Un esodo di massa, che ad oggi conta più di sette milioni e mezzo di sfollati e che rappresenta la più grande diaspora dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Ho dedicato così gli ultimi cinque anni – e una parte importante del mio lavoro – alla documentazione delle vittime delle Primavere Arabe, viaggiando con loro lungo il Mediterraneo e il Medio Oriente, dall’isola italiana di Lampedusa alla Siria, dall’Egitto all’Iraq, in Libia e in Turchia e attraverso la Macedonia e la Serbia, fino ad arrivare alla isola greca di Lesbo, dove ogni giorno centinaia di persone attraversano il mare Egeo per entrare in Europa. Lungo il percorso, ho rivisto gli stessi sentimenti umani, la stessa di disperazione e gli stessi sorrisi. La mia macchina fotografica è entrata nell’intimo della storia, proprio dove le emozioni umane vengono amplificate, scoprendo così il sogno che guida tutte le persone verso una nuova esistenza, il sogno di una vita lontano dalla guerra. Il sogno di un lavoro e la speranza di non avere più paura.

Oltre che essere un documento storico, “The Dream” è un viaggio attraverso la condizione umana di colui che ha perso ogni punto di riferimento, dove il sogno e la speranza, diventano l’unico motore che spinge questo nuovo popolo, quello dei profughi e dei migranti, verso una nuova esistenza.

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