Un Nuovo Popolo di Eroi

Fabio Bucciarelli per Il Fatto Quotidiano
Tabanovce, Macedonia al confine con la Serbia
September 2015

 

Come il popolo ebraico condotto da Mosè fuggì dall’oppressine della potenza egiziana verso la salvezza, così il popolo dei profughi e migranti scappa dall’inferno delle guerre e dalle carestie, e attraverso lande desolate si mette alla ricerca di una nuova vita. Un’esistenza in perenne attesa, quella dei migranti in movimento, in fuga dal tonfo dei bombardamenti e accolti in squallide tende o invisibili alberghi lontani dagli occhi di tutti.

Quando stanco non riesci più a camminare perché i chilometri macinanti sono troppi anche per essere contati, e le vesciche cambiano la conformazione dei piedi, allora ti ricordi della morte e da cosa stai scappando. E come per forza divina ti rimetti in piedi verso quello che noi chiamiamo futuro. Perché non si è mai abbastanza lontani dalla guerra: rimane dentro, motore di una fuga disperata. Con la vita impacchettata in uno zainetto, in una busta di plastica, ti senti dire “di qui non si passa” e vedi l’odio umano prendere forma di manganello, ma decidi ugualmente di non tornare indietro, perché il passato fa più male del presente. Cerchi di divincolarti, pensando che almeno qualcuno ce la farà.

Così oggi, quando documentare i conflitti che stanno devastando il Medio Oriente e l’Africa diventa sempre più difficile, l’attenzione pubblica si ferma a riflettere su questo esodo biblico, sul nuovo popolo oramai approdato sulle coste europee. Adesso che questo fantomatica europa sembra essere al collasso, vengono accesi i fari mediatici sull’umanità che scappa. Una fuga iniziata già dal tempo della cacciata di Gheddafi, dall’inizio della distruzione Siriana e dalla fine colonialismo Africano. Flussi migratori che mettono in ginocchia uno stato inesistente, nemmeno in grado di decidere una politica comune per aiutare il nuovo popolo dei migranti. E ci si dimentica che quelli stessi migranti, solo qualche anno fa, eravamo noi.

Mentre un intero continente – l’Africa – si svuota e la Siria rimane in mano ai mostri tagliateste, ci si ricorda di loro. Già quando nel 2011, mandati dal Fatto Quotidiano siamo sbarcati in Libia, migliaia di uomini e donne cercavano rifugio in un campo improvvisato al porto di Bangasi. Ma allora era più importante sbarazzarsi di un dittatore diventato scomodo, che pensare di dare una speranza a chi l’aveva persa e che attraverso squallide barchette attraversava il Mediterraneo alla ricerca di una casa.

Ora che le rivoluzioni della cosiddetta Primavera Araba hanno aperto il vaso di pandora dei migranti, si cerca di arginare il problema, errando nuovamente e sottolineando che all’interno di questo nuovo popolo, non sono tutti uguali. Perché per i Paesi Europei, spinti dalle grandi Organizzazioni Internazionali, un profugo non è un migrante, evidenziando che c’è differenza se un uomo scappa dalla guerra o muore di fame. Anche all’interno di quelli che abbandonano il loro paese a causa dei mortai che dilagano i loro figli, non tutti sono uguali, perché le guerre ufficiali, non sono come quelle ufficiose e i nigeriani che fuggono dal Boko Haram, i maliani che scappano dai gruppi islamico-estremisti o i Curdi che si allontanano dal loro sogno nazionalista, contano di meno di un siriano, di un libico o di un eritreo. Ora diventa prioritario aiutare i profughi che si sono salvati dalle barrel-bomb (bombe barile) lanciate da Assad e non le donne che si mettono in viaggio dopo essere state violentate in Ghana o in Senegal. In questo modo si continua a non volere guardare il problema dalla parte di chi soffre, perché anche all’interno dei senza-casa c’è chi conta più di altri. Mentre in Sicilia i porti sono al collasso dando alla mafia ulteriori possibilità di guadagno, migliaia di persone rimangono anni nel limbo dei centri di accoglienza (vedi CARA di Mineo) in attesa di documenti che non arriveranno mai. Nel frattempo i siriani, ai quali non viene richiesto di lasciare le impronte digitali una volta arrivati in Italia, fuggono verso una più civile Germania. Perchè i tedeschi accolgono le vittime di Assad, fornendogli casa, documenti e insegnando loro la cacofonica lingua.

Questa è la politica europea di sostegno al nuovo popolo di eroi che affronta la vita con dignità ed onore. Se non sono eroi coloro che hanno visto con i propri occhi morire i parenti e i cari, che hanno trovato la forza di lasciare dietro di se ogni avere, hanno attraversato ostili frontiere, sono naufragati – e a volte morti – in mare a bordo di squallidi gommoni o scialuppe, hanno percorso chilometri a piedi lungo confini immaginari con a spalle i loro bambini, hanno resistito alla fame e alla sete, hanno trovato la forza di sgattaiolare attraverso un filo spinato o sono morti all’interno di camion illegali, hanno dormito al gelo in un parco e sotto il sole su un binario incandescente, e poi arrivati al loro destino si sentono dire che non sono bene accetti, chi sono i veri eroi? Certamente non le grani organizzazioni o i politici che non riescono nemmeno a risolvere il surreale tragitto fra Grecia-Macedonia-Serbia e Ungheria. Come sappiamo, fra Grecia e Ungheria, che sono in Europa ci sono Macedonia e Serbia, che non ne fanno parte. Proprio questa è la nuova tratta dei i profughi in fuga che vogliono arrivare nei cosiddetti paesi sviluppati. Ma ora che l’Ungheria ha deciso di chiudere le frontiere, il popolo si sta accalcando lungo il confine serbo, nella speranza di trovare vie alternative per rientrare in Europa. Nuove rotte, che ad un certo punto escluderanno anche Serbia e Macedonia, non in grado di smaltire la grande ondata di profughi, e rimbalzeranno nuovamente il problema alla comunità Europea.

Se le rivolte che hanno inondato i paesi arabi siano state l’inizio di un processo democratico, o lo sfogo di popoli repressi, lo potrà giudicare soltanto la Storia. Quello che è certo, è il numero impressionate di persone scappate dal cancro della guerra, ora destinate a vagare in un limbo di nazioni, le stesse che fino a quando non si sentiranno minacciate non decideranno di reagire in modo ordinato ed umano per dare una speranza a questo nuovo popolo di eroi.

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